La morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi
 
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asolini e la Cultura Spagnola
[Rafael Alberti, 20 anni dopo]

CONVEGNO INTERNAZIONALE, ROMA 2019


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PAROLE PER UN EVENTO

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PPP, l’apprendista poeta nella bottega di Rafael Alberti
Su Rafael Alberti: un dattiloscritto autografo (e inedito) di Pier Paolo Pasolini (1)

 
Quando leggo un poeta non mi viene mai in mente che scrivo io stesso delle poesie, è perciò che lo leggo come un critico, come un flologo, come un linguista; sento questo ingenuamente, come un dovere. Con Rafael Alberti non riesco ad applicare questo dovere, abbastanza umile, ma anche difensivo. Credo che non ci sia razza di poeta più diversa da me di quella di Rafael Alberti; di fronte a tanta diversità, riesco forse di nuovo a trovare il diritto di leggerlo come poeta, come un poeta apprendista. Tutto quello che so della poesia, non vale infatti per conoscere Alberti. Tutto quello che so l’esaurisco per fare poesia io stesso, e per farne esperienza nel leggere, da critico, gli altri poeti che un po’ mi somigliano.

Ma la più bella cosa del mondo è continuare ad apprendere. Chi di noi non desidererebbe essere sempre apprendista, ragazzo di bottega? È così che mi sento leggendo Alberti. Come un ragazzo che entra a imparare il lavoro a una bottega, e vede il maestro intento all’opera: un’alta montagna di cristallo. Come si faccia ad avere la natura di poeta di Rafael Alberti mi è inconcepibile: lo guardo come un negro, che non ha mai visto un bianco, guarda un bianco. Con un misto di terrore e di ammirazione, di tenerezza e di difesa. Dunque tu fai poesia così? E sei poeta? Ma come è possibile, se a me pare che ci sia un unico modo di essere poeta, il mio? Come è possibile che ci siano due poesie? Come è possibile che dove c’è qualcuno che parla di sé, con quella confdenza, con quella astuzia, ci sia invece uno che parla di un sé stesso così strano, come senza confdenza con sé, con tanta abilità e niente astuzia, con sortilegi senza costo, puri, con ricerche d’amore che non implicano complessi di inferiorità, con tecniche metafsiche che non implicano nessuna reale ambiguità? Com’è possibile ripetere lo stesso motivo con la naturalezza di un artigiano o di un animale? Fare settemila poesie e settemila oggetti tutti puri, con dentro tutto e niente di sé, parlando sempre di sé e senza mai confessarsi?

Come puoi Rafael Alberti dare un ritratto così vero, così umano e così articolato di te, se mai una volta discendi a patti con le norme degli autoritratti, se hai tanto selvaggio, donchisciottesco pudore? Parli forse di te come un bambino, che non sa che la sua millanteria è contraria al pudore? Un bambino che non parla di sé, perché si è estraneo come un dio, ma delle proprie imprese e della propria immagine nel mondo? Ma perché parli delle tue imprese, se non ti interessano? Perché parli di quello che ti è capitato o ti capita, se poi riferisci tutto a una cima immacolata, che pure, tu sai che è soltanto l’abitudine di un fglio di vecchi cattolici che non si svelavano agli altri solo per buona educazione o ipocrisia? Con che legname hai bruciato tutto questo, rendendolo materiale di tanto valore? Perché ti metti a scrivere una poesia? Se non descrivi, non ti confessi, non accusi, non rimpiangi, non piangi, non ti lodi, non fngi di lodarti, non aduli il lettore, non gli chiedi pietà ecc. ecc.

Come ti si presenta la poesia? Senza neanche un po’ di voglia di essere fedele alla realtà, che si rimpiange sempre? Se sei stato nelle “città di mare che non conoscono crepuscoli”, dove anch’iosono stato, che conosco, e che mi fanno impazzire di nostalgia, come fai parlandone a non essere neanche un poco realistico, neanche un poco, un poco solo, descrittivo? Pensi che tutta l’Europa e tutta la Spagna abbiano lavorato per metterti in mano un bulino prezioso con cui lavorare l’anima come una scaglia? Come puoi sempre pensare e fare la poesia, anche la più piccola, come un inno? E se i tuoi sono inni, inni di quale religione? Forse di una piccola religione, che comprende una nazione, una confessione, una lotta politica, una vittoria dei cattivi con poche buone speranze per il futuro? Ma perché tutto questo è detto attraverso inni?

Perché il rimpianto per ciò che non è stato o è stato male e ingiustamente, è sempre, in te, anche nella dolcezza straziante, così duramente pieno di ritegno, da non poter esprimersi che con altre parole? Come fai a essere così forte da sostituire a una a una le parole che hanno tanto peso, tanto signifcato e tanto dolore nella nostra vita, strapparle, e sostituirle con parole analoghe trovate nella tua ofcina di poeta? Dove tieni la chiave di quella ofcina? Ci può essere tanta interezza e naturalezza di canto in una natura di poeta? E non solo quando è canto, ma anche quando è discorso? E tutta una vita, è possibile che possa essere così traposta, senza mai un attimo di incertezza o di pentimento, nei termini di un emblema, in uno snodarsi di immagini che sono una scommessa di perfezione? Come si fa a fare una serie di poesie “una più bella dell’altra”, a suscitare come nuovo sempre lo stesso entusiasmo nel lettore? Dove sono le ombre? Maledetti angeli! Lo sai che non si possono leggere tutte di seguito le tue poesie, perché l’entusiasmo, ripetendosi sempre uguale, diventa insostenibile?.

(1) Francesca Coppola, "Su Rafael Alberti: un dattiloscritto autografo (e inedito) di Pier Paolo Pasolini", Sig-Ma, N° 2 (2018), pp 341-392. [SigMa Rivista di Letterature comparate, Teatro e Arti dello spettacolo è la rivista scientifica internazionale dell’Associazione Sigismondo Malatesta, Università degli Studi di Napoli Federico II]


L’autrice della scoperta è Francesca Coppola, ha 29 anni, è napoletana ed è dottoranda di ricerca in letteratura spagnola all’Università di Salerno. È riuscita a trovare un inedito di Pier Paolo Pasolini, rovistando negli archivi e nelle sue carte. Il documento è sorprendente poiché fa conoscere quanto lui sia stato impressionato dall’opera di Rafael Alberti, il poeta spagnolo esule in Italia. Ma anche perché presenta un Pasolini teso addirittura a ridimensionare se stesso, tanto da definirsi al confronto di Alberti soltanto “un poeta apprendista”

Il testo di Pasolini è dedicato alla celebre silloge Sobre los ángeles di Alberti, tradotta in Italia da Vittorio Bodini per la collana Bianca di Einaudi con il titolo “Degli Angeli” nel 1966. La scoperta ha una caratteristica singolare: Francesca Coppola, impegnata nella tesi dottorale su Alberti, è riuscita a trovare quello che il poeta spagnolo aveva confessato di cercare invano e avrebbe voluto conservare. È chiaro il perché: “Lo guardo come un negro, che non ha mai visto un bianco, guarda un bianco” dice Pasolini abbinando stupore ed elogio. Come rileva Francesca Coppola: per lui “la lirica dell’autore spagnolo è insieme sorpresa e rivelazione”.


Pasolini scrisse l'articolo e lo lesse il 30 maggio 1966 nella presentazione del libro “Degli Angeli”, pubblicato in Italia da Einaudi. Davanti al proprio Alberti, nell'atto di "Librería Einaudi" di Roma. Studi sulla poesia di Pier Paolo Pasolini indicano che era molto sensibile all'influenza del lirismo spagnolo. Con Alberti, l'artista Pasolini mantenne una stretta amicizia e lo visitò nel suo appartamento nel quartiere di Trastevere, dove visse fino al suo ritorno in Spagna nel 1977, dopo il suo lungo esilio. Nel 1972 gli diede un disegno con questa dedica: «A Pier Paolo Pasolini. Il tuo amico R. Alberti ». Data la sua amicizia e ammirazione, non può essere sorpreso dall'entusiastica critica fatta dal poeta Pasolini della poesia di Alberti attraverso un testo che finisce con domande piene di ammirazione.

Pasolini e Alberti si incontrarono mentre tornavano da un viaggio a Varsavia negli anni Cinquanta, e poi, durante i loro anni in Italia, si incontrarono di nuovo, frequentando la stessa cerchia di intellettuali. A loro si unì la contessa Elsa de Giorgi, grande amica di entrambi, che Alberti dedicò nel 1976 a te, Pier Paolo, una poesia basata su Pasolini che scrisse dopo il suo omicidio.



Il 28 ottobre 2019 ricorre il 20 anniversario della morte di Rafael Alberti. Tornò dall'esilio nel 1963 e si stabilì a Roma, prima in Via Montserrato (Regola), per poi impostare il suo indirizzo al numero 88 in via Garibaldi (Trastevere) fino al suo ritorno in Spagna, 15 anni dopo.

«(1963) Mayo. Regreso a Europa, dejando definitivamente la Argentina. Verano en Rumanía. Radicación en Roma, vecino al Campo di Fiori. (1964) Comienzo a escribir Roma, peligro para caminantes. Publicación con grabados míos, de X sonetos romanos (Ediciones Galería Bonino, Buenos Aires). Amistad con Giuseppe Ungaretti, Pier Paolo Pasolini, Alfonso Gatto, Carlo Levi, Vittorio Gassman… Poesia (Mondadori Editore), traducción Vittorio Bodini. (1965) (..) Me mudo al Trastevere (..)» [Rafael Alberti, “Resumen Autobiográfico”. En: La arboleda perdida, Círculo de Lectores, Valencia, 1988, p. 365]

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Il 18 febbraio 1945 Pasolini e gli amici, lettori appassionati di Graziadio Isaia Ascoli, che aveva rivendicato l’autonomia linguistica del friulano, fondano l’Academiuta di lenga furlana, una sorta di rustico salotto letterario, che si propone la valorizzazione del friulano, con l’intento di conferire dignità linguistica e letteraria a una tradizione vernacola esclusivamente orale. Le prime riunioni dell’Academiuta si svolgono la domenica pomeriggio, a Versuta. (Centro Studi Pier Paolo Pasolini, Casarsa della Delizia)

L'influenza della cultura spagnola su Pasolini è nota durante gli anni Quaranta e Cinquanta, in particolare attraverso Antonio Machado, Juan Ramón Jiménez, Luis Cernuda, García Lorca o Rafael Alberti, così come i poeti catalani che usavano la loro lingua madre. Lo scopo dell'Academiuta era di cercare un linguaggio assoluto, puro per la poesia, e di promuovere la cultura dei «piccoli paesi delle lingue romanze». A tal fine scrisse anche composizioni definite «quasi spagnole» (Hosas de lenguas romanas) che, su una base linguistica spiccatamente spagnola, incorporano elementi italiani, friulani, francesi o catalani.

Il PPP stesso rende testimonianza di questa scoperta in occasione della sua partecipazione al Incontro della Gioventù Universitaria dei Paesi Fascisti (Weimer, 1942), partecipazione alla quale Pasolini riconosce un valore fondamentale:

(..) Voglio dunque parlare di una cultura i cui nomi, ad esempio, sono per la Spagna García Lorca, Juan Ramón, Machado ecc. (..) Così passeggiando con ansia quasi tremante, come chi senta di respirare un'aria non più regionale, ma eu­ropea, e quasi sommerso e sconfortato in essa, lungo le favolose vie di Weimar insieme con i giovani camerati spagnoli, io potevo, conversando con essi, risalire a Calderón e a Cervantes o a Velàzquez, attraverso Garcìa Lorca o Picasso; soffermarci quindi, ciò che mi stava più a cuore, sull'ultima generazione di scrittori, i cui nomi a me erano nuovi, e, con tremore, li udivo scandire dalle voci di quei camerati: e quei nomi erano Dionisio Ridruejo, Gerardo Diego, Agustìn de Foxà, Adriano del Valle (che dovrebbero corrispondere, in Spagna, ai no­stri Betocchi, Gatto, Sinisgalli, Penna ecc.). E da ultimo ascoltavo non i nomi, non le opere, non i fatti, ma la pre­senza, densa e verdeggiante, dei giovanissimi, intorno a cui i camerati spagnoli non seppero dirmi altro se non che si nota in essi un intelligente ritorno alla tradizione. (..) Mi pare allo­ra risulti chiara la nostra relativa superiorità sugli stra­nieri, se si pensa come, trovandomi con i miei amici, a discutere con i giovani spagnoli, noi potemmo discorre­re abbastanza agevolmente di Machado, García Lorca ecc., (..)» (Pier Paolo Pasolini, “Cultura italiana e cultura europea a Weimar”, Architrave, II, 31 agosto 1942)

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Luoghi specifici della Cultura Spagnola, che hanno influenzato PPP

In un'intervista con Luis Pancorbo, pubblicato nel numero 4 della Revista de Occidente (N. 4, Madrid, febbraio 1976), Pasolini riconosce che la poesia spagnola era molto importante nel loro periodo di formazione (1940-1950), arrivando ad affermare che Antonio Machado o Juan Ramón Jiménez hanno probabilmente avuto più influenza su di lui di Ungaretti o Montale. Pensa che Machado (insieme a Kavafis o, in misura minore, Apolinaire) è stato il più grande rappresentante della poesia europea del suo secolo.

Che cosa può essere illustrato con la traduzione di due poesie di JR Jimémez, pubblicato nel primo numero di Stroligut (rivista Academiuta, fondata nel febbraio 1945), traduzione a cui Pasolini 'costretto' a suo cugino Nico Naldini. Nel numero 3 del Quaderno Romanzo (rivista anche dell'Academiuta, 1947) PPP include un'antologia di poeti catalani. È anche significativo usare come epígrade della sezione Suite friulana (1944-1949) del Volume I di La mejor juventud (Poesia a Casarsa) un versetto di Machado: "La mia giovinezza, vent'anni nella terra di Castiglia"


Tra le opere e gli autori spagnoli che conosce, già dalla sua giovinezza, sono i classici dei secoli d'oro (Miguel de Cervantes, in particolare). Ma le sue letture-chiave sono quelle di altri autori, sempre più vicini a lui come Luis Cernuda, Juan Ramón Jiménez, prima ancora di Antonio Machado (in particolare le sue poesie di Campos de Castilla) e, soprattutto, Federico García Lorca, per il suo inclinazione verso il popolare e il modo in cui fa la sua poesia. Le occasioni in cui Pasolini parla direttamente dei suoi gusti letterari sono diverse. Un esempio di ciò è la dichiarazione negli anni settanta che «le letture fondamentali della mia vita [sono]: Canti popolari greci, Rimbaud, Machado". Antonio Machado è anche tra gli autori che Pasolini fece studiare i suoi studenti a Versuta e Valvasone»



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Luoghi specifici della relazione PPP con Alberti

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Critical Dictionary of Social Sciences: Pier Paolo Pasolini


 La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza