PPP, l’apprendista poeta nella bottega di Rafael
Alberti Su Rafael Alberti: un dattiloscritto autografo (e
inedito) di Pier Paolo Pasolini (1)
Quando
leggo un poeta non mi viene mai in mente che
scrivo io stesso delle poesie, è perciò che lo leggo come un critico,
come un
flologo, come un linguista; sento questo ingenuamente, come un dovere.
Con
Rafael Alberti non riesco ad applicare questo dovere, abbastanza umile,
ma
anche difensivo. Credo che non ci sia razza di poeta più diversa da me
di
quella di Rafael Alberti; di fronte a tanta diversità, riesco forse di
nuovo a
trovare il diritto di leggerlo come poeta, come un poeta apprendista.
Tutto
quello che so della poesia, non vale infatti per conoscere Alberti.
Tutto
quello che so l’esaurisco per fare poesia io stesso, e per farne
esperienza nel
leggere, da critico, gli altri poeti che un po’ mi somigliano. Ma la
più bella
cosa del mondo è continuare ad apprendere. Chi di noi non desidererebbe
essere
sempre apprendista, ragazzo di bottega? È così che mi sento leggendo
Alberti.
Come un ragazzo che entra a imparare il lavoro a una bottega, e vede il
maestro
intento all’opera: un’alta montagna di cristallo. Come si faccia ad
avere la
natura di poeta di Rafael Alberti mi è inconcepibile: lo guardo come un
negro,
che non ha mai visto un bianco, guarda un bianco. Con un misto di
terrore e di ammirazione, di tenerezza e di difesa. Dunque tu fai
poesia così?
E sei poeta? Ma come è possibile, se a me pare che ci sia un unico modo
di
essere poeta, il mio? Come è possibile che ci siano due poesie? Come è
possibile che dove c’è qualcuno che parla di sé, con quella confdenza,
con
quella astuzia, ci sia invece uno che parla di un sé stesso così
strano, come
senza confdenza con sé, con tanta abilità e niente astuzia, con
sortilegi senza
costo, puri, con ricerche d’amore che non implicano complessi di
inferiorità,
con tecniche metafsiche che non implicano nessuna reale ambiguità?
Com’è
possibile ripetere lo stesso motivo con la naturalezza di un artigiano
o di un
animale? Fare settemila poesie e settemila oggetti tutti puri, con
dentro tutto
e niente di sé, parlando sempre di sé e senza mai confessarsi? Come
puoi Rafael
Alberti dare un ritratto così vero, così umano e così articolato di te,
se mai
una volta discendi a patti con le norme degli autoritratti, se hai
tanto
selvaggio, donchisciottesco pudore? Parli forse di te come un bambino,
che non
sa che la sua millanteria è contraria al pudore? Un bambino che non
parla di
sé, perché si è estraneo come un dio, ma delle proprie imprese e della
propria
immagine nel mondo? Ma perché parli delle tue imprese, se non ti
interessano?
Perché parli di quello che ti è capitato o ti capita, se poi riferisci
tutto a
una cima immacolata, che pure, tu sai che è soltanto l’abitudine di un
fglio di
vecchi cattolici che non si svelavano agli altri solo per buona
educazione o
ipocrisia? Con che legname hai bruciato tutto questo, rendendolo
materiale di
tanto valore? Perché ti metti a scrivere una poesia? Se non descrivi,
non ti
confessi, non accusi, non rimpiangi, non piangi, non ti lodi, non fngi
di
lodarti, non aduli il lettore, non gli chiedi pietà ecc. ecc. Come ti
si
presenta la poesia? Senza neanche un po’ di voglia di essere fedele
alla realtà, che si rimpiange sempre? Se sei stato nelle “città
di mare che non conoscono crepuscoli”, dove anch’iosono stato, che
conosco, e
che mi fanno impazzire di nostalgia, come fai parlandone a non essere
neanche
un poco realistico, neanche un poco, un poco solo, descrittivo? Pensi
che tutta
l’Europa e tutta la Spagna abbiano lavorato per metterti in mano un
bulino
prezioso con cui lavorare l’anima come una scaglia? Come puoi sempre
pensare e
fare la poesia, anche la più piccola, come un inno? E se i tuoi sono
inni, inni
di quale religione? Forse di una piccola religione, che comprende una
nazione,
una confessione, una lotta politica, una vittoria dei cattivi con poche
buone
speranze per il futuro? Ma perché tutto questo è detto attraverso inni? Perché
il rimpianto per ciò che non è stato o è stato male e ingiustamente, è
sempre,
in te, anche nella dolcezza straziante, così duramente pieno di
ritegno, da non
poter esprimersi che con altre parole? Come fai a essere così forte da
sostituire a una a una le parole che hanno tanto peso, tanto signifcato
e tanto
dolore nella nostra vita, strapparle, e sostituirle con parole analoghe
trovate
nella tua ofcina di poeta? Dove tieni la chiave di quella ofcina? Ci
può essere
tanta interezza e naturalezza di canto in una natura di poeta? E non
solo
quando è canto, ma anche quando è discorso? E tutta una vita, è
possibile che possa
essere così traposta, senza mai un attimo di incertezza o di
pentimento, nei
termini di un emblema, in uno snodarsi di immagini che sono una
scommessa di
perfezione? Come si fa a fare una serie di poesie “una più bella
dell’altra”, a
suscitare come nuovo sempre lo stesso entusiasmo nel lettore? Dove sono
le
ombre? Maledetti angeli! Lo sai che non si possono leggere tutte di
seguito le
tue poesie, perché l’entusiasmo, ripetendosi sempre uguale, diventa
insostenibile?.
(1) Francesca Coppola, "Su Rafael Alberti: un
dattiloscritto autografo (e inedito) di Pier Paolo Pasolini", Sig-Ma, N° 2 (2018), pp 341-392. [SigMa Rivista di Letterature comparate, Teatro e
Arti dello spettacolo è la rivista scientifica
internazionale dell’Associazione Sigismondo Malatesta, Università degli
Studi di Napoli Federico II]
L’autrice della scoperta è Francesca Coppola, ha 29 anni, è napoletana
ed è dottoranda di ricerca in letteratura spagnola all’Università di Salerno. È
riuscita a trovare un inedito di Pier Paolo Pasolini, rovistando negli archivi
e nelle sue carte. Il documento è sorprendente poiché fa conoscere quanto lui
sia stato impressionato dall’opera di Rafael Alberti, il poeta spagnolo esule
in Italia. Ma anche perché presenta un Pasolini teso addirittura a ridimensionare
se stesso, tanto da definirsi al confronto di Alberti soltanto “un poeta
apprendista”
Il testo di Pasolini è dedicato alla celebre silloge Sobre los ángeles di Alberti,
tradotta in Italia da Vittorio Bodini per la collana Bianca di Einaudi con il
titolo “Degli Angeli” nel 1966. La scoperta ha una caratteristica singolare:
Francesca Coppola, impegnata nella tesi dottorale su Alberti, è riuscita a
trovare quello che il poeta spagnolo aveva confessato di cercare invano e
avrebbe voluto conservare. È chiaro il perché: “Lo guardo come un negro, che
non ha mai visto un bianco, guarda un bianco” dice Pasolini abbinando stupore
ed elogio. Come rileva Francesca Coppola: per lui “la lirica dell’autore
spagnolo è insieme sorpresa e rivelazione”.
Pasolini scrisse l'articolo e lo lesse il 30 maggio 1966 nella presentazione del libro “Degli Angeli”,
pubblicato in Italia da Einaudi. Davanti al proprio Alberti, nell'atto
di "Librería Einaudi" di Roma. Studi sulla poesia di Pier Paolo
Pasolini indicano che era molto sensibile all'influenza del lirismo
spagnolo. Con Alberti, l'artista Pasolini mantenne una stretta amicizia
e lo visitò nel suo appartamento nel quartiere di Trastevere, dove
visse fino al suo ritorno in Spagna nel 1977, dopo il suo lungo esilio.
Nel 1972 gli diede un disegno con questa dedica: «A Pier Paolo
Pasolini. Il tuo amico R. Alberti ». Data la sua amicizia e
ammirazione, non può essere sorpreso dall'entusiastica critica fatta
dal poeta Pasolini della poesia di Alberti attraverso un testo che
finisce con domande piene di ammirazione.
Pasolini e Alberti si
incontrarono mentre tornavano da un viaggio a Varsavia negli anni
Cinquanta, e poi, durante i loro anni in Italia, si incontrarono di
nuovo, frequentando la stessa cerchia di intellettuali. A loro si unì
la contessa Elsa de Giorgi,
grande amica di entrambi, che Alberti dedicò nel 1976 a te, Pier Paolo,
una poesia basata su Pasolini che scrisse dopo il suo omicidio.
Il 28 ottobre 2019 ricorre il 20 anniversario della morte di Rafael
Alberti. Tornò dall'esilio nel 1963 e si stabilì a Roma, prima in Via
Montserrato (Regola), per poi impostare il suo indirizzo al numero 88
in via Garibaldi (Trastevere) fino al suo ritorno in Spagna, 15 anni
dopo.
«(1963) Mayo. Regreso a Europa,
dejando definitivamente la Argentina. Verano en Rumanía. Radicación en Roma,
vecino al Campo di Fiori. (1964) Comienzo a escribir Roma, peligro para caminantes. Publicación con grabados míos, de X sonetos romanos (Ediciones Galería
Bonino, Buenos Aires). Amistad con Giuseppe Ungaretti, Pier Paolo Pasolini,
Alfonso Gatto, Carlo Levi, Vittorio Gassman… Poesia (Mondadori Editore), traducción Vittorio Bodini. (1965) (..)
Me mudo al Trastevere (..)» [Rafael Alberti, “Resumen
Autobiográfico”. En: La arboleda perdida, Círculo de Lectores, Valencia, 1988,
p. 365]
(..)
Il 18 febbraio 1945 Pasolini e gli amici, lettori appassionati di Graziadio Isaia Ascoli, che aveva
rivendicato l’autonomia linguistica del friulano, fondano l’Academiuta di lenga
furlana, una sorta di rustico salotto letterario, che si propone la
valorizzazione del friulano, con l’intento di conferire dignità linguistica e
letteraria a una tradizione vernacola esclusivamente orale. Le prime
riunioni dell’Academiuta si svolgono la domenica pomeriggio, a Versuta. (Centro Studi Pier Paolo Pasolini, Casarsa della Delizia)
L'influenza
della cultura spagnola su Pasolini è nota durante gli anni Quaranta e
Cinquanta, in particolare attraverso Antonio Machado, Juan Ramón
Jiménez, Luis Cernuda, García Lorca o Rafael Alberti, così come i poeti
catalani che usavano la loro lingua madre. Lo scopo dell'Academiuta era
di cercare un linguaggio assoluto, puro per la poesia, e di promuovere
la cultura dei «piccoli paesi delle lingue romanze». A tal fine scrisse anche composizioni definite «quasi spagnole» (Hosas de lenguas romanas) che, su una base linguistica spiccatamente spagnola, incorporano elementi italiani, friulani, francesi o catalani.
Il PPP stesso rende testimonianza di questa scoperta in occasione della sua partecipazione al Incontro della Gioventù Universitaria dei Paesi Fascisti (Weimer, 1942), partecipazione alla quale Pasolini riconosce un valore fondamentale: (..) Voglio dunque parlare di una cultura i cui nomi, ad esempio,
sono per la Spagna García Lorca, Juan Ramón, Machado ecc. (..) Così
passeggiando con ansia quasi tremante, come chi senta di respirare un'aria
non più regionale, ma europea, e quasi sommerso e sconfortato in essa, lungo
le favolose vie di Weimar insieme con i giovani camerati spagnoli, io
potevo, conversando con essi, risalire a Calderón e a Cervantes o a Velàzquez,
attraverso Garcìa Lorca o Picasso; soffermarci quindi, ciò che mi stava
più a cuore, sull'ultima generazione di scrittori, i cui nomi a me
erano nuovi, e, con tremore, li udivo scandire dalle voci di quei
camerati: e quei nomi erano Dionisio Ridruejo, Gerardo Diego, Agustìn de Foxà,
Adriano del Valle (che dovrebbero corrispondere, in Spagna, ai nostri
Betocchi, Gatto, Sinisgalli, Penna ecc.). E da ultimo ascoltavo non i
nomi, non le opere, non i fatti, ma la presenza, densa e verdeggiante, dei
giovanissimi, intorno a cui i camerati spagnoli non seppero dirmi altro se
non che si nota in essi un intelligente ritorno alla tradizione.
(..) Mi pare allora risulti chiara la nostra relativa superiorità sugli stranieri,
se si pensa come, trovandomi con i miei amici, a discutere con i giovani
spagnoli, noi potemmo discorrere abbastanza agevolmente di Machado, García
Lorca ecc., (..)» (Pier Paolo Pasolini, “Cultura italiana e cultura europea a
Weimar”, Architrave, II, 31 agosto
1942)
(..) Luoghi specifici della Cultura Spagnola, che hanno influenzato PPP
In un'intervista con Luis Pancorbo, pubblicato nel numero 4 della
Revista de Occidente (N. 4, Madrid, febbraio 1976), Pasolini riconosce che la
poesia spagnola era molto importante nel loro periodo di formazione
(1940-1950), arrivando ad affermare che Antonio Machado o Juan Ramón Jiménez
hanno probabilmente avuto più influenza su di lui di Ungaretti o Montale. Pensa
che Machado (insieme a Kavafis o, in misura minore, Apolinaire) è stato il più
grande rappresentante della poesia europea del suo secolo.
Che cosa può essere illustrato con la traduzione di due poesie di JR
Jimémez, pubblicato nel primo numero di Stroligut
(rivista Academiuta, fondata nel febbraio 1945), traduzione a cui Pasolini
'costretto' a suo cugino Nico Naldini. Nel numero 3 del Quaderno Romanzo (rivista anche dell'Academiuta, 1947) PPP include
un'antologia di poeti catalani. È anche significativo usare come epígrade della
sezione Suite friulana (1944-1949)
del Volume I di La mejor juventud (Poesia
a Casarsa) un versetto di Machado: "La mia giovinezza, vent'anni nella
terra di Castiglia"
Tra
le opere e gli autori spagnoli che conosce, già dalla sua giovinezza,
sono i classici dei secoli d'oro (Miguel de Cervantes, in particolare).
Ma le sue letture-chiave sono quelle di altri autori, sempre più vicini
a lui come Luis Cernuda, Juan Ramón Jiménez, prima ancora di Antonio
Machado (in particolare le sue poesie di Campos de Castilla)
e, soprattutto, Federico García Lorca, per il suo inclinazione verso il
popolare e il modo in cui fa la sua poesia. Le occasioni in cui
Pasolini parla direttamente dei suoi gusti letterari sono diverse. Un
esempio di ciò è la dichiarazione negli anni settanta che «le letture fondamentali della mia vita [sono]: Canti popolari greci, Rimbaud, Machado". Antonio Machado è anche tra gli autori che Pasolini fece studiare i suoi studenti a Versuta e Valvasone»
(..) Luoghi specifici della relazione PPP con Alberti
(..)
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